Il glutammato monosodico è da tempo oggetto di dibattito; si discute sulla possibilità che sia nocivo per la nostra salute. Un’ipotesi da valutare attentamente, essendo esso uno degli additivi più usati dall’industria alimentare.
Il suo utilizzo è perfino salito agli onori della cronaca, diventando oggetto di inchieste giornalistiche e approfondimenti vari. I giornalisti di Report furono tra i primi a porre la questione, con un servizio trasmesso nel lontano febbraio 2001. Oggi il “quadro” risulta più chiaro, nonostante persistano molti dubbi. C’è una sola certezza, quella che ha indotto Frosta a bandirlo dai suoi prodotti.
Il glutammato monosodico, o glutammato di sodio, è il sale di sodio dell’acido glutammico. È presente naturalmente nelle carni e nei formaggi molto stagionati, così come nei pomodori, nei funghi e nei legumi. Il chimico giapponese Kikunae Ikeda lo estrasse per la prima volta nel 1908, ricavandolo dall’alga marina kombu. Da allora è un caposaldo della cucina orientale.
Il motivo di questa notevole diffusione risiede nella sua capacità di insaporire gli ingredienti con cui si lega. Una proprietà così evidente da farlo considerare umami, termine giapponese che sta, appunto, per saporito. Inoltre identifica il cosiddetto “quinto sapore” di origine proteica. Questo è il motivo per cui l’industria alimentare lo usa in maniera massiccia.
Il glutammato monosodico, infatti, torna comodo quando si usano materie prime di scarsa qualità e, di conseguenza, con poco sapore. È questa, al momento, l’unica certezza nel controverso dibattito sulla sua nocività: il glutammato maschera un gusto che non c’è. Tale ragione ha convinto Frosta a fare una scelta di campo: utilizzare solo prodotti naturali con proprietà organolettiche garantite. Se la materia prima è di ottima qualità, non servono esaltatori di sapidità, e nemmeno coloranti e aromi artificiali.
A fronte di una certezza, sono diversi i dubbi che permangono sulla nocività del glutammato monosodico. Dubbi che, però, non rappresentano un verdetto di colpevolezza. Al contrario, i principali organi di sicurezza alimentare non lo considerano particolarmente dannoso. Tuttavia, L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (ESFA) lo tiene sotto stretta osservazione. Nel luglio 2017 ha, infatti, emanato una nota stampa in cui definisce la dose giornaliera ammissibile (DGA). Il suo valore è pari a 30 mg per ogni kg di peso corporeo.
Su cosa verte, allora, il dibattito sulla pericolosità del glutammato? Le questioni sono diverse, a partire dalla sua stessa definizione. ll glutammato monosodico è un amminoacido naturale, ma quello usato dall’industria alimentare non lo è. Nel passato veniva estratto da alcuni cibi, ma oggi si ottiene dalla più economica (e non naturale) fermentazione controllata.
Qualcuno fa risalire al glutammato anche la cosiddetta “sindrome del ristorante cinese”. I sintomi generati comprenderebbero mal di testa, sudorazione, eruzioni cutanee e crisi d’asma. A provocarli sarebbe l’eccessiva sapidità dei piatti tipici di quella cucina, dovuta proprio ad un uso smodato di quell’insaporitore. Diverse ricerche hanno smentito questa supposizione, ma restano da chiarire le cause reali della sindrome.
Altra questione non ancora chiusa è quella relativa agli effetti collaterali sul cervello. Diversi studi hanno escluso eventuali relazioni tra il consumo di glutammato e lo sviluppo di patologie neurodegenerative. Tuttavia, agli individui colpiti da queste malattie viene consigliato di evitare quei cibi in cui la sostanza è più presente.
Anche il rapporto tra consumo (eccessivo) di glutammato monosodico ed obesità è ancora sotto osservazione. Idem per quel che riguarda la sua influenza negativa sulla ritenzione idrica. Sono, poi, da indagare più approfonditamente le intolleranze e le allergie a questo additivo. L’ampia diffusione del glutammato negli alimenti potrebbe favorirle.
Insomma, la comunità scientifica non conferma la nocività del glutammato monosodico, ma continua a studiarlo. Di contro, è certo che insaporitori e aromi artificiali vengono usati per aumentare l’appetibilità di cibi con scarse qualità organolettiche. Una conclusione incontestabile che Frosta ha fatto diventare una scelta. La scelta del gusto naturale al 100%, da filiera controllata e senza additivi.
P.S. Individuare la presenza di esaltatori di sapidità al supermercato è facile. Sulle confezioni dei prodotti sono indicati obbligatoriamente con i codici che vanno da E600 a E699.
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